Dal Tibet alla Lomellina




Proprio quando il mondo è completamente sconvolto per l'area di guerra che si respira a causa degli assurdi fanatismi religiosi, forse fa bene parlare di chi, oltre alle prediche e ai discorsi vuoti, porta su di sè il vero segno della serenità.

Si chiama JianChub, per lo meno il mondo tibetano lo nomina così, con un nome semplice come lui, come la sua vita. Forse pochi l’hanno visto, quasi nessuno lo conosce ma vive a Mortara, un piccolo paese sulla pianura padana. Non è lui il tipo di persona che bussa le porte cercando di predicare il suo credo, sebbene ha la conoscenza e la capacità di farlo. Nemmeno la sua foto è stata mai pubblicata nelle pagine dei giornali con un’arma in mano cercando di convincere al mondo che la sua devozione sia la corretta.

Questo uomo taciturno, esperto in mandale e di area pacifica, è nato nel Tibet pochi anni dopo la seconda guerra mondiale e giusto quando la Cina entrò per prendersi il controllo del territorio. La sua famiglia fu, come tante altre, testimonio e vittima degli inevitabili abusi che sono avvenuti dopo la invasione.

No sarebbe una assurdità immaginarlo sempre con l’abito di monaco e immerso le giornate intere tra preghiere e litanie, ma sempre lontano da qualsiasi vincolo con il mondo occidentale. Non è così. Sebbene tutte le mattine si alza e prende in qualche modo distanza del mondo terreno a traverso la meditazione, JianChub è un appassionato della tecnologia e fa uso spesso degli strumenti digitali. Di solito è attaccato a un minuscolo computer che lo mantiene vicino al mondo e persino al universo, dato che la sua religione ha un legame molto stretto con gli eventi soprannaturali.

Lui è diventato monaco come lo fissi sua mamma e suo fratello più grande, pure in contro delle regole che impose la rivoluzione culturale e che lasciò più che dolore e sangue nel decennio degli anni sessanta.

L’unico modo per salvarsi da questo disastro, dalle torture e dai lavori forzati e poter continuare a praticare la propria religione, era fuggire. Così fece JianChup insieme a pochi altri monaci. Senza dirlo nemmeno a sua mamma cominciò un lungo percorso a piedi attraverso le montagne Himalayane senza soldi, con poco cibo e senza documenti per paura di essere arrestato oppure torturato. D’altro canto in Tibet i registri di nascita non esistono ancora adesso.

Dopo 30 giorni di traversata arrivò al confine tra il Tibet e il Nepal e per la sua fortuna una luce di speranza si è accesa nel suo intorno al trovare l’ufficio di protezione per gli scapati. Lui è rimasto felicissimo. La desiderata libertà cominciava ad affacciarsi con un timido sorriso e la sua prima richiesta fu subito concessa. Un registro di nascita e il passaporto che lo individuava come cittadino nepalese gli è ristabilito le speranze di continuare ancora il suo percorso , di momento. Dopodiché si è trasferito temporaneamente in India dada la vicinanza geografica e anche per ricominciare la sua vita religiosa in un monastero.

Evidentemente il suo nuovo status non era una garanzia per muoversi tranquillamente per il mondo in attesa di tornare in qualsiasi momento a casa sua. È accaduto, ad esempio, che un giovane monaco al rientro in Nepal dall’Inghilterra, dove aveva tenuto diverse conferenze, sia stato arrestato per un periodo di dieci giorni, senza nessuna accusa intanto le autorità britanniche mettevano in chiaro che la sua missione religiosa non era di nessun modo un rischio contro la sicurezza nazionale.

Dopo alcuni anni è venuto in Italia al seguito di un famoso Lama che presiede una associazione internazionale di pace e che ha vari centri. Così cominciò il suo lavoro di Monaco facendo mandala artistici e cerimonie religiose. JianChup riuscì ad inserirsi così bene alla cultura italiana che imparò la lingua, insegnò pure la sua e persino si avvicinò all'arte italiano che divenne senza nemmeno proporselo una delle sue passioni.

Insieme a questo Lama cominciò a girare diversi centri buddhisti in Europa e in Asia, ma non poteva ritornare in Tibet a rivedere in suoi cari avendo un passaporto nepalese perché sarebbe stato arrestato in quanto tra Cina e Nepal ci sono particolari accordi.

Sono passati più di tre decenni dalla sua fuga, tempi in cui lui è riuscito ad ottenere la cittadinanza italiana eppure tornare nel Tibet per rivedere la sua famiglia, ma purtroppo il padre e molti dei suoi cari amici erano morti mentre lui era in esilio. Ritrovare i suoi parenti e la sua città, oltre che meraviglioso è stato un viaggio nel tempo, ma questa volta con il sorriso di chi può vivere più che sereno.


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