Delle Parole con l'al di là
Se un giorno dovesse apparirmi il genio della lampada meravigliosa con l’intenzione
di esaudirmi un desiderio, io gli
chiederò semplicemente di portarmi dall’altro
lato della vita dove vanno tutti quelli che lasciano il mondo
terreno con la condizione di poter
tornare indietro. Forse non sono solo io l’unica che vuole decifrare una volta per
tutte quell’enigma, forse non sono l’unica curiosa di sapere che cosa c’è dietro
a quel grande velo che
nasconde la morte.
Mia madre si congedò dalla vita
quando io avevo 14 anni. In quel
periodo, erano gli anni 80, si usava
fare la veglia nella casa del defunto.
Il suo corpo giaceva nel centro
del salone mentre una processione di amici,
vicini e parenti pregavano per il suo
riposo eterno e piangevano la perdita de un essere tanto speciale come lei era sempre stata.
Ella ricevette la chiamata di Dio
un pomeriggio di maggio, proprio qualche giorno dopo quello in cui celebriamo il ringraziamento al cielo per la fortuna che ci è data di avere una madre. Celebrammo quel giorno
per lei, sebbene sapevamo che la fiamma della sua vita stava già per spegnersi.
Ricordo il suo corpo
totalmente avvolto dalle bende e adagiato
dentro la sua bara. Un paio di candele
in ogni angolo della stanza illuminavano il suo viso che si riusciva appena a intravedere attraverso
una piccola finestrina di quella bara che
separava la vita della morte. E la scena
mi diede una tale paura che io avevo le forze per vederla solo dal pianerottolo
del secondo piano. Benché io facessi
qualunque cosa per evitare di fissarla, mi sembrava che lei ci tenesse a
non passare inavvertita.
Una delle mie zie, l’ultima che si
recò a casa prima che mia madre chiudesse gli occhi per sempre, aveva un figlio
piccolo che da poco tempo aveva cominciato a osservare il mondo. Proprio nel
momento in cui mi trovavo in questa specie di limbo tra la paura e la oscurità,
questa mia zia mi colse di sorpresa e mi domandò di accompagnare suo figlio
piccolo nella stanza di mia nonna
materna che viveva con noi, mentre lei scendeva nel salone di casa
per unirsi a tutti gli altri che partecipavano alla litania, celebrata
tradizionalmente in questo tipo di occasioni.
Immagino che fossimo vicini alla mezzanotte. Il mio cugino piccolo faceva tutto il
possibile per evitare di addormentarsi e cercava di uscire dalla stanza, però
io, giocando a fare la mamma gli promettevo qualunque cosa per convincerlo a
stare con me. In un momento di profondo
silenzio, forse quando il sonno stava per prendere il sopravvento la voce di mia madre usci in qualche modo
dalle bende che avvolgevano il suo corpo e mi giunse all’ascolto.
Quell’agonia che ascoltavo tante volte quando il suo
corpo non sopportava più di essere in vita entrò chiaramente nella stanza dove mi trovavo. Rimasi in uno stato
tra lo sconcerto e l’incredulità. Cercai di decifrare questo accadimento strano.
Esso durò in me non più di un paio di
secondi però mille pensieri mi attraversarono
la mente senza che potessi spiegarmelo chiaramente. Mia madre si stava congedando da me? Questa
fu la spiegazione che mi diedi per tanti anni: però allora perché questa
sensazione di paura? Perché non ebbi quell’occasione di intimità tra madre e
figlia che mi permettesse di chiudere questo capitolo senza provare brividi di
paura?
Lei morì di una malattia terminale e
i suoi ultimi giorni di tormento per il fortissimo dolore fisico l’avevano resa
esausta. Tutti in casa ce ne sentivamo tristi e commossi. Mia sorella maggiore
non se ne allontanava mai: era per lei la sua infermiera, la sua compagnia, la
sua confidente, la figlia che si sforzava di affacciarsi al cambio di vita e
alla inevitabile separazione che stava per giungere. Io invece, più aliena e
distaccata dalla gravità di quello che stavamo vivendo, tornavo da scuola: prendevo
i miei libri e i miei quaderni e mi rinchiudevo come in una specie di cortina
immaginaria che mi teneva lontano da quella triste realtà che si viveva in
casa.
Mia madre sapeva che ero solo un’adolescente
completamente indifesa, e si era incaricata di costruire per me un mondo
meraviglioso, dove nemmeno una puntura di spina poteva toccarmi. Io crebbi con
gli occhi troppo velati per poter capire la cruda realtà che mi accadeva
attorno. Persino la sua stessa malattia mi appariva come dietro ad una maschera,
e io non ne percepivo l’aspetto doloroso. Forse per questo continuava a tenermi
stretta la mano e non me la lasciava mai. Pensava forse che mio padre, dominato
com’era dal liquore, non sarebbe stato capace di continuare a tenermi in questo
mondo di fantasia a cui ero stata abituata e che fino ad allora era l’unico che
conoscevo.
I lamenti di mia madre, per la
malattia e la paura di lasciare me e mia sorella da sole, mi si conficcarono
nella testa e furono le stesse che ascoltai anche la notte quand’ella invece
riposava nella pace della sua bara, mentre tutti quelli che l’accompagnavano
continuavano a versare lacrime di tristezza. Io non piansi mai. Feci
l’impossibile affinché il pianto mi venisse, e invece tutto il giorno fui
accompagnata come da una specie di anestesia, e così il giorno seguente, e per
altri giorni ancora per molti anni, fino a quando semplicemente non mi abituai
a vivere senza una madre. Forse lo vedevo normale, non mi confrontavo con le
altre famiglie che avevano in casa sia un padre che una madre. Io semplicemente
vivevo in un mondo dove non esistevano più le mamme.
Un paio di anni dopo la sua morte,
la famiglia che lei aveva costruito con tanto sforzo e pazienza si era sciolta
completamente e ciascuno di noi
aveva cominciato a girare il mondo alla ricerca del proprio destino. Io andai a vivere presso la famiglia di una
mia zia. Si trattava di una sorella di mia madre che per marito aveva preso un
fratello di mio padre. In casa loro non
mi mancò nulla. Andavo a scuola come qualsiasi altro adolescente e avevo molti
amici con cui passare i pomeriggi. Con
loro andavo sempre alle feste la sera e non mi privavo nemmeno dell’alcool.
Mia madre non mi mancava. La bussola che guidava la mia vita se ne era andata e
con tale partenza io avevo perso il mio nord. Senza dubbio in questo mondo di
fantasia che lei aveva costruito per me, sapevo che esistevano regole e che fare certe cose era bene e altre era
male.
Sembrava che tutto marciasse correttamente, ma il mio
futuro era incerto. Le quattro pareti dove vivevo mi fornivano comodità però mi mancava il bacio della buona
notte, mi mancavano quelle carezze che solo mia madre sapeva darmi. Sapevo che
mi mancava però ero molto sorda e non
riuscivo ad ascoltare la voce della
coscienza che mi urlava quanto fosse terribile vivere senza una madre.
Non so, forse il mio subconscio mi tradiva
e io comunicavo con lei senza saperlo.
Difatti una notte, durante il sonno, sentì
qualcosa di strano. Il mio esile corpo, che pesava appena 50 chili
cominciò a svanire e ad addentrarsi in un mondo che non era il mio. Mi sentivo di
volare come in mezzo a nuvole di cotone. Ero
estremamente rilassata in quel mio stato di riposo e non reagivo a
nessuno stimolo esterno. Non avevo alcun dubbio: sentivo qualcuno seduto al lato del mio letto
che mi teneva le mani. Il tempo mi si fermò per vivere un istante di fantasia.
Immediatamente mi resi conto che era lei. Era mia madre! Forse lei era
consapevole di quello che stavo vivendo e riuscì a trapassare la frontiera dimensionale
che ci separava per entrare nei miei sogni o per giungere al cuore della mia
umanità. La sentì prendere le mie mani tra le sue e sussurrarmi con una voce
soave e dolce delle calde parole di mamma. Non sono mai riuscita a ricordare
quelle parole, ma in quel momento magico mi sentì come se avessi ricevuto
le tavole della legge di Mosè, le istruzioni di comportamento da seguire per il
resto della mia esistenza e soprattutto darmi la certezza che lei sarebbe
sempre stata al mio fianco. Non ebbi modo di dire una sola parola, ma in fondo
non era necessario. In questo spazio non vi era posto né per le domande né per i
dubbi. Forse era il commiato che avevo aspettato per anni, dopo quel giorno in
cui, andandosene via per sempre, mi aveva lasciata avvolta in un manto di
paura.
Suppongo che furono davvero pochi
minuti o forse addirittura secondi, il tempo sufficiente per viaggiare in un
tunnel del tempo fino a quegli anni della mia infanzia quando io ero la sua
figlia minore preferita che aveva bisogno di essere protetta al massimo tra
abbracci e carezze.
Io continuavo a nuotare in quell’universo
fantastico, in uno stato di beautitudine assoluta fino a quando di colpo non aprì
gli occhi . Lo scontro delle emozioni fu
molto forte e in quel momento mi sono rinchiusa in un
specie di armatura: tentavo di sopprimere anche il più piccolo sospiro in mezzo
al silenzio che sovrastava la notte
scura. Non ero sicura di ciò che stavo per affrontare, non sapevo se quello che avevo appena vissuto
era reale. Mi domandavo se mia madre sarebbe
rimasta ancora con me o se invece se ne sarebbe tornata per quello stesso
cammino che l’aveva portata via da me una volta. Avrei potuto gridare per uscire da quel
letargo ma non mi bastavano le forze. L’aria era troppo pesante finanche per
respirare e il mio corpo era inzuppato
dal sudore. Fu la mia notte impossibile da dimenticare.
I minuti passarono e a poco a poco tutto cominciò a riprendere la normalità. La
paura scomparve e la notte mi invitò a tornare nuovamente nel riparo del sonno, questa volta senza
brividi e nemmeno timori, completamente esausta da quel viaggio nel
magico mondo. Sentivo adesso una calma assoluta.
A partire da quel giorno, o meglio
dovrei dire da quella notte, i miei occhi cominciarono a vedere la vita con colori diversi. Quella notte non m’incuteva
più paura. Piuttosto desideravo riviverla nuovamente per poter ricordare
davvero ognuna delle parole che mi aveva proferito e applicarle meticolosamente,
come una brava studentessa che impara dal suo maestro. Lei mi permise di
entrare in contatto con il suo universo, ne sono sicura. E quasi dieci anni più tardi riuscì
a percepire anche il momento esatto in
cui lei si era di nuovo riunita e riconciliata con mio padre lassù in cielo.
Penso che sia stata l’ultima volta
che sono riuscita a averla cosi vicino. Negli anni successivi ho continuato a
vederla in sogno, e però silenziosa e lontana. Sempre in casa nostra, quella stessa casa in cui sono cresciuta sotto le
sue cure. Ancora riesco a rivedere come fosse un film il racconto della mia
infanzia al suo fianco, ancora posso viaggiare ad occhi chiusi a quel luogo cosi
speciale dove lei mi vide nascere e io la vidi morire.
Grazie
mamma, grazie per quei momenti che abbiamo condiviso quando ancora potevo vederti. E grazie soprattutto per aver
attraversato la frontiera della morte per farmi sentire che tu davvero mai te
ne sei andata via da me.
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